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Titillato dalla rivoltosa  e solo allora oscuramente signi-
ficante  letizia di quella iniziativa, esplosi in una dura,
stilizzata risata che spaurí la femminetta senile. Presi a
parlare con volubile furia: le gridai che la poltrona era
vecchia, fragile, rotta, sporca, brutta e altrui; che in nes-
sun caso doveva sedervisi; che altrimenti& e feci un ge-
sto, come a scongiurare orrende possibilità. La donna
mi scrutava con sentenziosa apprensione; la lunga disa-
bitudine all amore traspariva dal suo volto, quell insie-
me di pazienza e frivolo rancore che ho tante volte scor-
to sul volto delle madri. Col tatto oculare percorsi quel
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Giorgio Manganelli - Hilarotragoedia
corpo disadorno e liso, ne accertai la nota topografia, la
vidi intaccata da tutti i segni, smottamenti, frane, che ne
annunciavano l imminente decadenza: seppi che mia
madre non sarebbe tornata da me l anno prossimo, che
nei mesi imminenti già s addobbava, già le apriva le
braccia il giorno deputato alla sua morte.
Parlando la distrassi; non commentò la bizzarria del
mio contegno; prese a discorrere: mi diede notizie di pa-
renti, caduchi ormai come mosche novembrine; un poco
si accese, discorrendo dalla sua salute malferma. E sotto
quel dialogo di tregua, l altra strisciava, la talpesca con-
versazione di sempre, parole abortite, esclamativi defun-
ti, deprecazioni e suppliche, lazzi apotropaici, pii e osce-
ni scongiuri, accuse e gemiti non meno veri per essere
mentiti.
Mangiammo: ed ecco, sparecchiata la tavola, mia ma-
dre dirigersi verso la poltrona. Le urlo di non muoversi;
la vecchia matta non si ferma! Le sono addosso, la butto
da parte, mia madre cade a terra! La miserrima vecchia!
Io sento le sue ossa che scricchiolano&
A che ripetere ad una ad una le fasi della orrenda
giornata? Alle sei e diciotto di ieri sera, approfittando di
una minima assenza, mia madre si sedette sulla poltrona.
Rientrando, non feci parola, non sussultai. Al mio sguar-
do, ella ebbe un breve panico. Tentò di sorridermi, e
quella smorfia di cauta arroganza, quella mi fece rabbri-
vidire. Mi sedetti di fronte a lei, e ci mettemmo a parla-
re, in solenne calma. Alla breve, tempestosa sollecitudi-
ne, era succeduta una bieca indulgenza. Questa mattina
è partita.
Ed ora eccomi qui. È quasi mezzogiorno. Da due ore
sono seduto nella poltrona. Scrivo queste pagine fatali, e
la calma di ieri non mi lascia. Mia madre ed io abbiamo
dignitosamente atteso ad un reciproco dovere; odiosi
l uno all altra, siamo fatti della stessa orribile pasta. È fi-
nito: la mia cavalcatura cigola e freme, è ansiosa di parti-
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re. Non c è limite all orrore che ci attende. Io già lo abi-
to. È delizioso.
Voilà! Vogliamo chiamarlo aperitivo discenditivo?
Tornagusto catalevitazionale? Olivetta disperativa? La
storietta dell anonimo interpuntivo ha, a nostro avviso,
quel tanto di stimolante, e insieme quella levitas, quella
agevolezza, che ben si addice alla inaugurazione di un
solenne banchetto di precipitosi manicaretti. La qualifi-
ca di aneddoto propedeutico vuole indicare i limiti ideo-
logici della testimonianza. L interpuntivo, infatti, non si
spinge oltre la prebalistica discenditiva; la fabella narra
la crisi dell animula inchiostrosa, da complice e schera-
na nobilitata in disertore. Ma della levitazione propria
non si fa parola; non esce, insomma, dall antefatto. Ed è
ben naturale, ove si consideri che il documento risulta
compilato per intero «prima» della partenza della pol-
trona per il luogo, fra tutti, sommamente ideologico. E,
pertanto, discorreremo di lui come di un compagno di
viaggio, un simpatizzante, un infernico sincero; ridevol-
mente, lo diremo indipendente dello sprofondo: a sotto-
linearne la volontà morale, assai piú evidente della scelta
ideologica. Ma no sfugga l afflatto didattico che lo ispi-
ra. Vi è adombrato il concetto fondamentale che la bal-
buzie è intrinseca alla vera eloquenza; ma cosí detto, en
passant, e racchiuso nella preziosa teca sintattica di una
prosa alquanto turgida, forse sussurra piú che non dica.
L accenno alla supposta magia nera della madre a noi
pare gratuito cattivo gusto. In primo luogo, la nerità di
alcunché è sempre, commisurata alla scala cromatica del
contesto, onde, essendo i due discorsi, della madre e del
figlio, sostanzialmente neri, non si vede a che giovi un
uso cosí genericamente emotivo di tanto termine; e poi,
muovere ad una madre l accusa di magia nera, non sa di
pretesto polemico? Di voglia di litigare? Non è, diremo,
una ragazzata? L idea che un «gonfiore oggettuale», co-
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me si esprime il Nostro, manifesti l insufflamento del di-
vino, ha un che di lepido che vorremmo sottolineare;
queste epifanie dei subitanei mal di denti dell universo!
Bucate il foruncolo sul naticosmo e& troppo, troppo
divertente!
Sia chiaro: le lepidezze del testo non debbono trarre
in inganno il lettore; il documento resta, se non tragico,
bellamente patetico, una illustrazione, stile calendarietto
del barbiere, o almanacco popolare, della insopprimibi-
le gentilezza d animo d un pio omicida. È una lettura
certamente educativa. Entro questi limiti, confidiamo
che sia per essere non inutile al catalievitante, uomo che
non deve avere a sdegno le frivolezze pedagogiche,
quando bene orientate. Aperitivo, s è detto: pertanto, i
grandissimi stomachi mangiacosmo sono invitati a pro-
cedere al seguente documento, ideologicamente assai
piú avanzato.
Storia del non nato
(premessa redazionale: il non nato, ovviamente, non
venne «scelto» come per solito si fa nei campionamenti,
o nelle interviste sociologiche: infatti, essendo egli non [ Pobierz całość w formacie PDF ]

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