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diletti della mia fanciullezza. Al pensiero che mai piú
avrei potuto vederli, e che reputavo una grazia il fuggire
da un luogo nel quale pure lasciavo come sepolto il me-
glio della mia vita, capii a che punto fossi stata ridotta, e
cosí intensamente che cominciai a singhiozzare. «Zaira»
dissi stringendomi a lei «mi par di morire pensando che
me ne vado per sempre! E io che mi credevo felice! Ti
prego, Zaira, sii buona, lasciami entrare mezz ora per-
ché possa almeno vedere la mia casa l ultima volta!» La
Zaira (che aveva preso licenza da mia madre con la scusa
di assistere una sorella ammalata) non resistette all emo-
zione, mi diede la chiave ed entrammo. Per prima cosa
salii nella mia camera, che trovai intatta, e sedetti sulla
poltrona, quasi senza fiatare per il timore che mia madre
mi udisse. Era certo un pericolo, ma che aumentava
quella mia tormentosa avidità di ricordare. Poi, aperta la
finestra, tra le fronde degli alberi che si erano un po
sfoltite, guardai per alcuni minuti i colli illuminarsi
nell aria ormai rosata; e finalmente, sempre in punta di
piedi, girai per le stanze a una a una. Mi sentivo intorno
il respiro di mia madre addormentata, lontana da ogni
sospetto che io fossi in casa di nascosto; forse sognava il
prossimo appuntamento, in cui avrebbe dovuto riconci-
liarsi con me. Finalmente mi allontanai, commossa ma
rasserenata, e ripresa la strada giungemmo presto quag-
giú, dove ci separammo.
Sappiate dunque che da ieri io vivo in una cameretta,
arredata senza pretese, ma per me deliziosa, che non
guarda verso strada, ma verso un piccolo giardino, chiu-
so davanti e a sinistra da un muricciolo, a destra da
un altra casa piú grande e piú signorile, che si congiunge
con la nostra ad angolo retto. Crescono nel giardino pa-
recchie piante non troppo alte, ma fitte, sovrastate da un
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Letteratura italiana Einaudi
Guido Piovene - Lettere di una novizia
platano posto nell angolo del muro. Sotto la mia finestra
v è un piccolo specchio d acqua, e i suoi riflessi che vi-
brano sul soffitto della mia camera mi hanno dato sta-
mane il piú piacevole risveglio.
A pianterreno, in una grande cucina che ha un uscita
verso la strada ed una verso il giardinetto, vive la buona
donna a cui mi avete affidato; essa però sale ogni mo-
mento a vedermi. Quando mi appare, alta, il volto giallo
terroso, gli occhi neri che bruciano, mi fa quasi paura;
capisco infatti che è stata presa per me di una passione
avida e avara, come per un gioiello capitato in un modo
cosí insperato a casa sua, che non le pare ancora di pos-
sederlo, trema che le sia tolto, si affanna a tenerlo lustro.
Mi ama non come una persona, ma appunto come un
gioiello, una bestiolina o un dolce; se mi guarda in silen-
zio con quegli occhi ghiotti ed ardenti, mi sembra che
voglia mangiarmi. Mi vieta cosí di uscire anche nel giar-
dinetto e mi tien d occhio come se volessi scappare. Sa-
pendo poi che ho sofferto molti dolori ritiene, non so
perché, che io deva avere anche fame, e non riesco a farle
intendere che ho sofferto soltanto di dolori morali. Passa
cosí la giornata a rimestare uova sbattute che mi obbliga
poi a mangiare. Se non venite a darle aiuto la povera
Margherita diventerà troppo grassa. Ma è necessario che
veniate perché non vivo piú volentieri in un luogo, se voi
non l avete visto. E voglio anche pregarvi di indurre la
donna ad allentare almeno la parte inutile della sua sor-
veglianza. Ieri mi ha fatto una scena perché, dalla cucina,
mi sono affacciata un istante a una finestra sulla strada.
Pure non so come avrei potuto astenermene: questo
quartiere mi parla d anni tanto lontani che il guardarlo
riunisce la delizia del ricordare a quella della scoperta. Io
scendevo, ricordo, dalla nostra casa sui colli in certe sera-
te d inverno, per andare a un teatrino di marionette non
lontano di qui: i pendii erano coperti di neve, ma entran-
do in questa strada sentivo un calore anche fisico, quasi
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Letteratura italiana Einaudi
Guido Piovene - Lettere di una novizia
un alito caldo. Il motivo di esso era che le finestre del
pianterreno di quasi tutte le case danno sulle cucine. A
tutti gli angoli c erano poi mendicanti che trattavamo
con riguardo, perché ci portassero fortuna. Molti di noi
hanno la superstizione che i mendicanti, pure senza av-
vedersene, abbiano in mano la nostra felicità, e che
un elemosina basti a farne gli inconsci strumenti della
nostra riuscita. Mi sono convinta perciò che un elemosi-
na è sempre un tentativo di patto col diavolo, perché
quegli esseri ci sembrano onnipotenti, ancora caldi
dell Inferno. Anche le mie governanti, lasciando cadere il
soldino, dicevano un desiderio, e spesso mi chiedevano
di unire il mio voto al loro. Pensate ora che soltanto
nell attimo trascorso ieri alla finestra ho visto due mendi-
canti. Non ridete di me se vi racconto che ho incaricato
la donna di dare una lira a ciascuno dei mendicanti del
quartiere, sperando di far scattare in uno di essi la molla
che rovescerà il mio destino. Ma forse scherzo; mi diver- [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]

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